19/03/2003-Le Monde-IRAQ
di Nicolas Weill
Il filosofo André Glucksmann, lo scrittore Pascale Bruckner e il regista Romain Goupil hanno firmato un appello in favore di un intervento in Iraq per liberare il popolo dalla dittatura. Questa corrente di pensiero, però, continua a restare minoritaria.
Sono consapevoli di andare controcorrente e per questi intellettuali, che in Francia si pronunciano pubblicamente per l'"intervento" e un cambiamento di regime in Iraq, si tratta, dopo un periodo di perplessità, di fissare una data. Se da un lato la loro argomentazione ricorda quella della prima guerra del Golfo, dall'altro, invece, il clima è cambiato. All'inizio degli anni '90 le allusioni allo spirito "di Monaco" servivano soprattutto per criticare i pacifisti. Una tendenza che continua ad avere sostenitori, ma in sordina. Tanto più che i "pro-intervento", anche se tendono a organizzarsi, sono estremamente minoritari, diversamente da 12 anni fa.
A conferma di ciò un sondaggio Ispso (realizzato il 7 e l'8 marzo per France 2) sull'opinione che hanno i francesi della crisi irachena, valuta nel 25% la parte di coloro che considera giustificata la posizione americana, laddove l'approvazione viene più dalle file di destra che di sinistra (36% contro 17%). "Siamo voci discordanti" ammette André Glucksmann, che ha firmato insieme allo scrittore Pascal Bruckner e al regista Romain Goupil un appello dal titolo "Saddam deve partire, volente o nolente" (Le Monde del 10 marzo 2003).
All'origine di questo appello una lunga discussione "tra persone che hanno l'abitudine di essere minoritarie", assicura. Partendo dalla valutazione che Saddam Hussein "è più crudele di Milosevic e più pericoloso" e ricordando che loro sin dal 1991 iniziarono a chiedere che si fermasse la politica di purificazione etnica portata avanti dall'ex-presidente della Federazione Jugoslava in Croazia e in Bosnia, i tre firmatari s'indignano per il fatto che le manifestazioni per la pace nascondano, dietro gli slogan contro George Bush, le sofferenze che il regime fa subire al popolo iracheno.
"L'intervento in Kosovo non è stato fatto sotto l'egida dell'ONU", afferma il filosofo. "Alcune volte l'ONU è incapace di prendere decisioni. In Ruanda o in Cambogia. E' in quest'ottica che mentre sostenevo i rifugiati sud-vietnamiti - con l'operazione "una barca per il Vietnam" nel 1978 - ho, nonostante questo, applaudito l'intervento armato vietnamita contro il regime dei khmer rossi perché mettessero fine al massacro in corso!" Impegnato oggi contro la guerra in Cecenia, considera "desolante" la costituzione, attorno a Jacques Chirac, di un "asse della pace" alla quale partecipano la Cina e la Russia del presidente Putin.
Questa posizione comincia a diffondersi al di là delle frontiere. Il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung ha consacrato a Glucksmann, il 12 marzo, un articolo nelle sue pagine culturali. E dalle colonne dell'International Herald Tribune Glucksmann ha avuto lo spazio per rimproverare Parigi e Berlino di riprodurre "gli argomenti dei "Movimenti per la Pace" staliniani" della guerra fredda. "Non potrei guardarmi allo specchio", dice a Le Monde, "se non facessi nulla per impedire che Saddam Hussein rimanga al potere fino alla sua morte". E aggiunge: "in quanto cittadino, ho voluto inviare un segnale ai miei amici dei Paesi dell'est europeo, davanti ai quali mi vergogno". Allude ai rimproveri di Jacques Chirac fatti ai candidati dell'Unione europea che hanno firmato un appello per presentare un fronte unico con gli Stati Uniti - tra i quali si poteva trovare la firma del ex presidente ceco, Vaclav Havel.
Bernad Kouchner ha espresso posizioni simili a Glucksmann e Goupil. Un altro militante dei diritti umani, Jacky Mamou, ex presidente di Médecin du Monde, considera, a titolo personale, che "dal punto di vista umanitario, il dovere di ingerenza continua a esistere, specie di fronte a un regime che viola i diritti umani e per il quale bisogna creare un tribunale penale internazionale ad hoc". "Di fatto", scrive in un testo fatto circolare all'interno di MdM, "l'agenda delle grandi potenze e dell'Onu non è quella delle organizzazioni umanitarie. Possono essere interventi militari, che rispondo a cattivi motivi, ma che alleviano la sofferenza di popoli martirizzati". Ma si preoccupa delle conseguenze che una guerra avrà su una popolazione irachena fragilizzata dall'embargo.
COSTELLAZIONE
Ancora in modo informale, la costellazione di coloro che, a diverso titolo, rifiutano la linea dominante di ostilità nei confronti dell'intervento prendono contatto l'uno con l'altro. Il deputato dell'UMP Pierre Lellouche aveva invitato, sabato 8 marzo, un certo numero di intellettuali sostenitori di una guerra contro l'Irak o comunque perplessi all'idea del mantenimento di uno status quo a Baghdad: André Glucksmann, Alain Finkielkraut e Romain Goupil. Un altro appello, firmato dallo storico Pierre Rigoulot, direttore dell"'Istitut d'histoire sociale", è stato pubblicato su Le Figaro, in occasione della manifestazione contro la guerra di sabato 15 febbraio, su iniziativa di Michel e Florence Taubmann, pastore dell'oratorio del Louvre, nel quale, inoltre, si avanza l'idea che "la caduta del dittatore iracheno varrà come avvertimento per gli apprendisti stregoni nord-coreani". Numerosi dibattiti hanno luogo regolarmente all'oratorio tra diversi esperti. Tra coloro che si sono aggiunti all'appello di Le Figaro vi è un certo numero di intellettuali e storici specializzati in una lettura critica del passato comunista, come Illios Yannakakis o Jean-Louis Panné. "Tra i ricercatori che hanno lavorato sulla storia del comunismo, dei quali alcuni hanno un passato di estrema sinistra, c'è la preoccupazione di collocare la difesa della democrazia al disopra della massima gaullista di indipendenza" è il commento di Rigoulot, specialista della Corea del Nord. Il sociologo Samuel Trigano, dell'università Parigi-X, autore del libro "L'Ebranlement d'Israel" (Ed. Le Sueil) è anche tra i firmatari di questo testo.
"Rifiutiamo un consenso che va da Krivine a Le Pen" dice Taubmann, giornalista ad "Arte" che giudica di fatto "complessa" la situazione e si dichiara più favorevole a una pressione militare che non alla guerra come tale. Rifiuta un veto francese la cui conseguenza potrebbe, al di là della sola questione irachena, provocare la caduta del premier britannico "più europeo" nella storia della Gran Bretagna.