Sunday, August 26, 2007

André contro il pacisfismo «nichilista» ed «impotente»

Esce in Italia Occidente contro Occidente, pamphlet del filosofo e polemista francese Glucksmann. Argomenti (non tutti convincenti) «per chi è rimasto al 10 settembre 2001».

Personalmente, accolgo con immensa gratitudine ogni piccolo contributo di ragione che arresti l’insopportabile mainstream editoriale di questi mesi, caratterizzato da un inarrestabile antiamericanismo - il più ottuso, livido e fanatico che sia dato immaginare.

Se il conformismo delle maggioranze è generalmente fastidioso, quello delle minoranze è addirittura esiziale, perché associa alla debolezza, e alla prevedibilità degli argomenti, anche un accanito compiacimento di sé, e un’irriducibile pretesa di autoevidenza (la peggior nemica - come noto - di qualsivoglia retta argomentazione).

Tengo sempre a mente l’assennata legge di Murphy: «Un buono slogan (o un pessimo pamphlet, aggiungerei buttando un occhio agli scaffali) può bloccare l’analisi per quarant’anni».

Ben vengano dunque gli André Glucksmann: uomini d’intelletto che provano a tessere il filo di un ragionamento meno facile e scorbutico, e meno corrivo agli stereotipi di certe nicchie editoriali radical, ma infinitamente più lineare, più fertile e più capace d’analisi. Qualità che dovrebbe definire – senza tanti fronzoli e messianismi – il compito di un’intellettuale.

Occidente contro Occidente (pubblicato da Lindau) è un libello sulla guerra in Iraq, e soprattutto sulla geopolitica del ‘dopo 11 settembre’. L’autore - un intellettuale francese poco noto da questa parte delle Alpi - vi condensa alcune riflessioni, in tensione tra un rifiuto della vulgata pacifista di matrice new-global, e un atteggiamento pur sempre critico e mai subalterno verso la dottrina dei Wolfy-boys neoconservatori.
Tertium datur? Vediamo un po’…

Gli argomenti espressi da Glucksmann possono in sostanza ridursi a tre.

Argomento 1. Guerra vs. pace: un falso dilemma. L’alternativa non si pone tra un mondo in pace e un mondo in guerra. Crogiolarsi nell’utopia del non intervento, quando occorre usare la forza, segnala solo il rifiuto dell’assunzione di responsabilità.
La cultura del pacifismo ad oltranza, secondo Glucksmann, è figlia del nichilismo di chi non vuole rinunciare alla quiete del proprio privilegio, e dell’impotenza di chi ha dimenticato l’antico monito di Pascal: qualunque giustizia, senza una forza adeguata, è imbelle.

Argomento 2. L’Onu dei sogni. Nelle parole di chi si è opposto alla guerra in Iraq, l’intervento dell’Onu ha finito secondo Glucksmann per travalicare il proprio status: da opzione politica, diplomatica, militare, è divenuto una specie di dogma.
Glucksmann ricorda in proposito alcune semplici verità: che l’Onu è un’Istituzione storicamente nata per mantenere equilibri in un mondo bipolare (quello della Guerra Fredda), e che i suoi meccanismi di funzionamento (si pensi al Consiglio di Sicurezza e al sistema dei veti) sono stati concepiti per garantire lo stallo mondiale e la non-interferenza reciproca all’interno dei singoli blocchi, piuttosto che per agevolare l’adozione di interventi efficaci in uno scenario multilaterale.
Glucksmann ricorda inoltre alcuni casi emblematici in cui si rivelò tutta l’impotenza delle forze Onu (si pensi al conflitto nella ex-Jugoslavia), e casi in cui l’impiego di forze d’interposizione fu intenzionalmente impedito (Rwanda), con esiti apocalittici.

Argomento 3. La geopolitica di George Bush. Perché Bush ha invaso l’Iraq? Glucksmann allarga la prospettiva dall’obiettivo militare dell’intervento (la conquista di Baghdad), a quello geo-politico: la destabilizzazione dei disegni di egemonia pan-araba elaborati - con sfumature diverse e tra loro collidenti - dai Baathisti iracheni, dagli Ayatollah iraniani e dai terroristi di Al Qaeda.
Il conseguimento di un simile obiettivo, nevralgico per la difesa delle libertà democratiche su scala planetaria, è stato realizzato – sempre secondo Glucksmann - colpendo l’anello più debole (l’Iraq), nel momento opportuno, con costi e conseguenze obiettivamente accettabili. La veloce comparazione tra il conflitto iracheno e quello combattuto dai russi in Cecenia, segna indubbiamente un punto a favore del polemista francese.

Limiti. Il limite principale e più evidente del libro di Glucksmann è invece nella sua mancanza di aggiornamento (sarebbe bastata un’appendice, che so, una postfazione).
Scritto poco dopo la conclusione del conflitto iracheno, cioè prima della recrudescenza di attentati e atti ostili scatenati nelle città liberate, prima dei fatti di Spagna e durante l’effimera ripresa del dialogo isaelo-palestinese (erano i giorni della road-map e della tregua bilaterale), Occidente contro Occidente prescinde per forza di cose dagli avvenimenti più recenti, che avrebbero costituito un banco di prova molto duro - e proprio per questo necessario – delle proprie tesi geopolitiche. Enfatizzare l’efficacia e la risolutiva brevità delle operazioni militari svolte dagli anglo-americani, o ancora minimizzare le conseguenze determinate dal conflitto sullo scacchiere mediorientale (giunto nel frattempo in una fase di escalation quasi irreversibile) è oggi naturalmente molto più difficile. Non impossibile, intendiamoci: ma neppure semplice come potrebbe apparire leggendo un libro vecchio di un anno.
Il secondo limite è nella traduzione scombiccherata di Giorgia Bongiorno, che punisce un testo plausibilmente brillante, trasformandolo in una litania disgustosa. Come ascoltare un assolo di pianoforte con una radio dalle pile scariche. Detto per inciso, sarebbe il caso che gli editori la piantassero di straziare in questo modo i propri titoli.

Dubbi. La lettura di Glucksmann lascia almeno due dubbi.
Un primo punto di cedimento sta nell’estromissione del fattore-petrolio dal novero degli obiettivi geopolitici di Gorge W. Bush.
Certo, sarebbe una forzatura voler ridurre la guerra in Iraq ad un’operazione di accesso, brutalmente diretto e ‘semplificato’, ai giacimenti controllati da Saddam. La questione è più complessa, naturalmente, e ha un respiro strategico molto più ampio. Ma l’espunzione del petrolio dal carniere degli obiettivi dell’amministrazione Bush (al punto che nel libro la parola ‘petrolio’ non ricorre nemmeno una volta) suona davvero poco onesta.
Altro ‘non sequitur’, il legame che unirebbe l’intervento militare alla lotta contro il terrorismo. Un legame - coi ‘se’ e i ‘ma’ del caso - tutto da dimostrare.
Un conto è riconoscersi nella sostanza degli argomenti 1, 2 e 3 addotti da Glucksmann. Un altro lasciarsi fuorviare da rudimentali giochi retorici.
Tra individui dotati di ragione e discernimento, è possibile parlare con franchezza: l’obiettivo di Bush era l’estensione del controllo geopolitico americano sull’arco di crisi arabo. Punto. La guerra al terrorismo, in questo contesto, è un mero obiettivo di contorno, qualcosa a mezza via tra un pretesto e un (gradito) beneficio secondario. Ripartiamo di lì: senza grotteschi furori antiamericani, ma senza neppure voler fare a tutti i costi la figura degli ingenui.

Lorenzo Lasagna