André Glucksmann rappresenta il dover essere dei sessantottini pentiti d'Italia. L'esempio di un intellettuale fuori e contro i partiti storici della sinistra, senza per questo essere accecato dall'odio e dal livore verso la storia da cui viene e verso i leaderini che quei partiti bene o male guidano. La voce della cultura radicale, liberale, ebraica, europea che non prescinde dal marxismo, ma lo supera nella consapevolezza di dovergli qualcosa. La coscienza che la guerra è a volte giusta, ma non soltanto quando spiazza i nostri avversari politici (mentre tra i nostri sessantottini pentiti c'è ci ha appoggiato la seconda guerra del Golfo dopo aver aspramente osteggiato l'intervento in Kosovo, ed è lecito chiedersi se l'abbia fatto per repentina conversione o non piuttosto per l'urgenza di scegliere il fronte avverso a quello della sinistra riformista, idealizzata in teoria, odiata e contrastata là dove si manifesta nei fatti). Con la guerra, poi, Glucksmann ha una pratica lunga e dolorosa. Famigliare, visto che la seconda guerra mondiale indusse alla fuga e disperse la sua famiglia. Iniziativa, in quanto proprio di dissuasione nucleare, di deterrenza, di rapporti di forza si è occupato nei suoi studi, equanimamente divisi tra il magistero di Sartre e quello di Aron (non a caso fu lui a riconciliarli, portandoli entrambi all'Eliseo a chiedere aiuto per i boat-people vietnamiti, dopo che per decenni non si erano parlati, da quando Sartre in un dibattito radiofonico aveva definito De Gaulle «un petit Hitler» e Aron aveva risposto con un manrovescio). Non è peregrino affermare che Glucksmann è tra i pensatori della sinistra critica europea quello che ha maggior confidenza con l'argomento. Questo spiega perché "Dostojevskji a Manhattan", il bellissimo libro in cui accosta Bin Laden ai nichilisti russi, sia il contrario di un instant-book e qualcosa di più anche di un'approfondita meditazione sull'11 Settembre.
Difensore di diritti.Glucksmann difendeva le ragioni dei dissidenti dell'Est prima che diventassero stucchevoli anche a loro stessi. Glucksmann sosteneva la necessità nell'intervento dei Balcani quando ancora Mitterrand flirtava con Belgrado per indebolire l'attrazione tedesca su Slovenia e Croazia. Glucksmann gridava contro i massacri etnici nell'Africa centrale quando i media occidentali non se ne occupavano. Glucksmann sosteneva i governi algerini contro il Gia quando molti suoi compatrioti europei ritenevano che gli squadroni della morte integralisti fossero nella loro quasi totalità composti da agenti dei servizi segreti.
Cantonata epocale. E' ovvio poi che a un filosofo, ancorché nuovo, non si debba sempre dar retta. Indicare nell'Italia del '77, cioè in un paese dove da dieci anni tutto era permesso, la patria della repressione è stata una cantonata epocale. In Cecenia André ha organizzato un viaggio coraggioso e sulla causa cecena ha speso parole nobili, ma difficilmente praticabili per un Occidente che abbia a cuore uno straccio di rapporti con la Russia. Ma insomma lasciateci il piacere di leggere un filosofo che sa comunicare senza accapigliarsi in tv, che ha l'umiltà di comprare i giornali, che conosce i classici, che scrive con la profondità di un moralista secentesco e con la rapidità di un cannibale. Bastino per tutte le pagine di "Le bien et le mal. Lettres immorales de la France e de l'Allemagne", saggio capolavoro rigorosamente non tradotto dagli editori italiani, e in particolare quelle che spiegano la differenza tra Francia e Germania raccontando il diverso finale delle rispettive versioni di Cappuccetto Rosso.