Uno spettro si aggira per il mondo, o (a scelta) l'equazione nichilista.
1. La nostra prima emozione era quella buona. L'orrore e le lacrime. Una pietà immensa per gli infelici intrappolati nell'inferno. Un senso di nausea universale quando l'incidente si è rivelato un crimine. Sbigottimento e rabbia davanti a un'azione mostruosa. La sensazione di assistere in diretta a una qualche fine del mondo. Una gigantesca angoscia, espressa e subito appannata da qualche povero aggettivo: "incredibile", "inimmaginabile". "impensabile".
2. Ma di imprevedibile c'era solo la riuscita di questa catastrofe, tecnicamente perfetta. Nulla di inimmaginabile, se non per gli esperti che sapientemente predicono la fine delle grandi violenze e farfugliano di una "fine della storia"; ma si disinteressano del cinema e distolgono lo sguardo dal telegiornale delle 20. Niente di impensabile; da sempre le religioni evocano diluvi e apocalissi. I pensatori miscredenti, come ad esempio Lucrezio, e gli storici attenti, come Tucidide, conoscono le "pesti", i bruschi rovesciamenti di valori che scuotono le società dalle fondamenta.
3. L'evento, definito a torto "imprevedibile", ha avuto luogo. Evitiamo d'ora in poi di pronosticare che non si ripeterà. Ciò che è stato fatto può essere rifatto. In formato ridotto come in peggio. "Una volta abbattute le barriere del possibile, che esistevano, se così posso dire, solo nel nostro inconscio, è assai difficile ricostruirle", scriveva Clausewitz. Inutile illudersi. Anche se i criminali saranno arrestati e le loro reti annientate, oltre all'indignazione susciteranno emulazione. Si volta pagina. Vivremo, e i nostri figli sopravviveranno in una storia ove l'abominio delle Twin Towers proietta l'orizzonte invalicabile di un crepuscolo terroristico dell'umanità. L'11 settembre del 2001 avrà luogo sempre. Ed è sul parametro del suo orrore mediatico e planetario che dobbiamo imparare a misurare le nostre emozioni e decisioni.
4. Inutile cercare di evadere dalla propria angoscia. Si minimizza la portata dell'evento fintanto che diventa una faccenda estranea. Si invitano i "poveri" del pianeta a contemplare la disgrazia dei "ricchi". I grandi e piccoli borghesi di tutto il mondo sono chiamati a meditare sulla punizione inflitta all'"arroganza americana". "A ciascuno il suo turno!" o "se la sono cercata" si sente proferire da qualche mente distorta. E c'è chi parla di una provvidenza cosmica che punisce solo chi lo merita. Negazioni oscene che mascherano l'estrema, crudele universalità dell'evento: se una tale ignominia ha colpito il paese più forte, tanto più grande è la minaccia per ogni collettività. Chi più può, meno può. Il nuovo mondo è stato raggiunto dal vecchio. La fine dell'eccezione americana significa che siamo tutti nella stessa barca. In quelle torri in fiamme, inservienti e banchieri, ingegneri e segretarie, neri e bianchi, ispanici e cinesi, ricchi e poveri ne hanno fatto la spaventosa esperienza.
5. Inutile cavillare sulle parole per eludere la cosa. Sì, è stata un dichiarazione di guerra. Una guerra di tipo nuovo. L'atto terroristico parla da sé. E ci pone davanti a un'equazione con cinque incognite. X colpisce Y. X resta nell'ombra. Y potrebbe essere chiunque. Si tace il motivo dell'operazione. Gli strumenti utilizzati sono intercambiabili. A quanto pare, si è scelto un momento qualsiasi: lo hanno deciso le condizioni meteorologiche. Chi uccide chi, come, perché, quando? Niente è specificato. Boia ignoto, vittima ignota, mezzi ignoti, motivi ignoti, momento ignoto: tutte variabili che ne fanno un'operazione ripetibile all'infinito. Gli attacchi incendiari contro le Twin Towers e contro il Pentagono non vengono rivendicati. Né prima né dopo. Il loro inventore non si fa conoscere. Un terrore tanto più assoluto in quanto rimane senza commento, sospeso sopra le nostre teste. E punteggia una guerra non meno assoluta.
6. "La guerra è un atto di violenza teso a costringere l'avversario a eseguire la nostra volontà" (Clausewitz). La violenza criminale che annienta il World Trade Center non chiede nulla, e quindi esige tutto. L'aggressione colpisce al cuore il triplice centro di gravità - economico, militare e politico - di ogni società. L'assenza di un discorso, di una rivendicazione, di un ultimatum è indice di una violenza spinta all'estremo, e la sua potenza di annientamento si afferma non negoziabile. Nell'universo del lager le vittime chiedono: "perché?", e l'aguzzino risponde: "qui non ci sono perché". L'incendiario delle Twin Towers colpisce chiunque, dovunque, in qualunque momento e in qualunque modo. Il terrorista padrone non tratta, vuole la capitolazione incondizionata. Ci vuole schiavi.
7. "Viva la muerte". Ultimi secondi prima del crash. Immaginiamo l'estasi del pilota dirottatore mentre si scaglia contro le torri gemelle. Non ero nessuno, nient'altro che un bipede implume tra tanti. Mentre adesso sono tutto. "Muoio, e il mondo muore con me". In Mohamed Atta riconosciamo Erostrato, un oscuro greco che nel 356 a.C. incendiò il Tempio di Diana, una delle sette meraviglie del mondo. Pronto a tutto, pronto a morire per superare Alessandro in immortalità. Quanto maggiore la devastazione, tanto più immensa la gloria. "Vorrei trovare un crimine dall'effetto perpetuo, che continui ad agire quando io non agirò più", proclama un eroe di Sade. La gioia folle di distruggere per distruggere ha imperversato nel XX secolo. La cultura della morte, il nichilismo, il "freddo slancio di esseri umani che fondono insieme suicidio e assassinio collettivo" (Al Hayat) animano anche - ma non soltanto - l'islamismo estremista. Il male è contagioso. Le immagini della Cnn dovrebbero essere sottotitolate da Dostoevskij. Dall'incendio di un sobborgo nell'impero zarista fino al settembre nero di Manhattan, il furore nichilista accumula rovine su rovine. Sempre più efficaci i mezzi. Sempre più universale la tabula rasa che prospetta. Kirilov si uccide per dimostrare al mondo che Dio non esiste. E mentre si scagliava contro i grattacieli, Atta si sarà sentito più forte dell'America, tigre di carta?
8. Evitiamo di giustificare. Quando diventa panico mentale, l'angoscia assorda se stessa con argomenti contradditori. E i paralogismi sfuggono a chi è in preda al panico. È Washington a essere incriminata e condannata, vuoi per isolazionismo, vuoi per il suo ruolo di "gendarme del mondo". Quando non è sotto accusa per il suo sostegno a Israele, "radice del male", lo è per il "disimpegno" di Bush. Senza dimenticare l'"orrore economico", la "dittatura neoliberista", l'orgoglio dell'"iperpotenza" e del "governo mondiale", leggi G7. Un argomento che appare più che mai ombelicale, mentre dall'11 settembre l'impotenza dell'iperpotenza si rivela improvvisamente in piena luce. Gli adulatori e i contemplatori di un'America invulnerabile dovranno rivedere il loro catechismo. Sostenitori ed avversari del "sistema" onnipotente hanno coltivato l'idea - evidentemente sbagliata - che gli Stati Uniti conducano le danze sempre e dovunque, angelicamente o diabolicamente. Come se fosse l'Occidente-demiurgo a fare il bello e il cattivo tempo. Con la tracotanza che accomuna globalisti e anti-global si postula che l'avvenire dell'umanità si decida "tra noi". Ma scusate! L'offensiva nichilista segue la sua propria logica. Non è solo questione di elezioni americane, di ratifica o meno del programma di Kyoto. Il primo attentato (del '93) contro il World Trade Center è stato commesso sotto il democratico Clinton. Le bombe si possono motivare sia con la firma degli accordi di Oslo che con il loro insuccesso.
9. Presunto sponsor dell'apocalisse dell'11 settembre 2001, il mostruoso Bin Laden ha beneficiato di un duplice patrocinio. Il primo apprendista stregone, sempre trascurato, è stato il regime sovietico. Se ai tempi di Breznev e Andropov Mosca non avesse invaso l'Afghanistan, devastato il paese, sterminato uomini, distrutto le strutture sociali, gli estremisti non avrebbero avuto l'occasione di arroccarsi sulle rovine. Sotto Putin, i russi non hanno imparato nulla: saccheggiano e martirizzano i ceceni e vogliono la pelle di Maskhadov, un presidente moderato e democraticamente eletto. A vantaggio di chi, se non della cintura verde e fascista che accerchia l'ex Unione Sovietica? Più huntingtoniano di Huntington, Putin si atteggia ad araldo dell'anti-terrorismo nella lotta contro gli integralisti islamici. In nome della cristianità, perseguita i ceceni fin dentro i cessi. Uno "scontro di civiltà" del genere è suicida per i democratici. I metodi neo-staliniani che hanno ridotto in cenere una capitale di 400 mila abitanti (Grozny) ripugnano a ogni persona onesta, musulmana o meno, e saldano insieme Islam e islamisti. Si può pensare di stringere di volta in volta alleanze tattiche, con il Cremlino e con altre potenze non meno equivoche, per snidare gli assassini. Ma formare un blocco strategico con la Russia e la Cina sarebbe come allinearsi con due pompieri piromani.
10. Al secondo posto tra gli apprendisti stregoni figurano le democrazie specializzate nell'abbandono dei democratici. Mentre l'Europa sonnecchiava, gli Stati Uniti armavano i fondamentalisti, anziché aiutare i resistenti moderati. Se il comandante Massud avesse ottenuto il sostegno che chiedeva, oggi sarebbe in carica a Kabul, e molto probabilmente le Twin Towers non sarebbero state annientate. Come molte migliaia di americani, vittime non di uno specifico errore strategico ma di un accecamento ricorrente.
11. Uno spettro si aggira per il pianeta: quello del nichilismo. Utilizza le religioni antiche, le antiche ideologie e le esaltazioni comunitarie, ma non le rispetta. Rivendica la trasgressione come segno di elezione. La setta terroristica degli "Assassini" uccideva sia i capi musulmani che i crociati cristiani. Agiva senza preoccuparsi delle norme né dei costumi, al di là del bene e del male. Religiosi o meno, i nichilisti sono dei fuorilegge antinomisti. Praticano una duplice rottura, con il mondo "nemico" e con la comunità "amica", che pretendono di rigenerare suo malgrado. E scavano così in ogni cultura un abisso nel quale precipitano gli altri, e a volte se stessi, in nome di una miserabile gloria. Chi giudica la loro sfida stupida e immonda terrà a mente le ultime parole di Thomas E. Burnett, uno dei passeggeri del volo 93 della United Airlines: "Abbiamo i coltellini di plastica dei vassoi del pranzo. So che moriremo tutti, ma tre di noi tenteranno di fare qualcosa." E sono morti tutti. Ma l'aereo è precipitato lontano dal suo obiettivo, e altre vite sono state risparmiate. Il nichilismo non è invincibile.