Saturday, November 25, 2006

La terza morte di Dio.

La mia particolarità è che mi interesso alle guerre, ai gulag, alla fame nel mondo e all’Aids. Cose sulle quali generalmente si preferisce tacere, perché disturbano la vita quotidiana, i nostri sentimenti. Ho cominciato le mie ricerche sulla guerra, più precisamente su Clausewitz, sotto la guida di un professore che mi disse "ora siamo in due nell’Università francese a conoscere Clausewitz". Ovvero la guerra non era argomento per gli universitari. Il mio professore era liberale e ammetteva che non condividessimo le stesse idee su Clausewitz e sulla strategia americana in Vietnam, che per lui era vincente mentre per me era discutibile e soggetta a possibili fallimenti. Ma il difficile era che quando dissentivamo era l’Università a dividersi, essendo noi gli unici a conoscere Clausewitz e a occuparci di un argomento così scottante.

La mia seconda caratteristica è che io non mi definisco in relazione agli altri intellettuali e filosofi, ma tento di definirmi in relazione alle realtà, a quelle realtà, appunto, che disturbano. Ciò significa che non mi chiedo cosa bisogna dire del gulag secondo il pensiero di Nietzsche, di Marx o di Heidegger. Mi chiedo cosa il loro pensiero rappresenti in relazione all’esistenza del gulag e della guerra. Al mondo esistono realtà crudeli che rappresentano il tribunale dei filosofi, non sono i filosofi a rappresentare il tribunale delle realtà crudeli. Ciò che ci giudica è la nostra attitudine davanti a realtà spaventose, e Dio sa quante ne ha conosciute il Ventesimo secolo e quante ne conoscerà il Ventunesimo, brillantemente battezzato al suo nono mese con un fatto spaventoso, avvenuto l’undici settembre scorso. Quindi è proprio davanti a questi eventi che noi dobbiamo domandarci a cosa servano la letteratura, i filosofi, i pensieri, i politici.

Dunque che cosa pensare davanti allo spaventoso crimine commesso a New York? Credo sia necessario ricordare l’emozione che tutti abbiamo provato quando abbiamo visto alla televisione, o sentito alla radio, quello che stava accadendo. Si è detto: "È incredibile, inimmaginabile, sembra un film, non ci si può credere!". Siamo stati colpiti molto profondamente e molti dei discorsi successivi indicano una reazione di difesa per cancellare il nostro panico iniziale, la nostra angoscia. In ciascuno di noi si è svegliato qualcosa. Credo che abbiamo provato una sensazione di fine del mondo, un concetto che si può comprendere meglio in termini religiosi. Sono solo le religioni infatti a parlare di fine del mondo, di Apocalisse, di diluvi. Qualcun’altro, che non possiamo accusare di fanatismo religioso, cioè Lucrezio, parla di una peste simile alla fine del mondo, riprendendo la descrizione che Tucidide fece della peste ad Atene. Che non fu solo una malattia fisiologica ma divenne il momento in cui niente veniva più rispettato, in cui si faceva l’amore nei templi, in cui tutti i tabù venivano infranti e tutti i valori rovesciati: quindi una specie di fine del mondo. Tuttavia ci sono altri spiriti che hanno affrontato questo tema. Platone in un suo mito dice che il mondo ha due modi per percorrere il suo ciclo: quando c’è un dio al comando le cose si tramandano dal più giovane al più vecchio, ogni essere segue il proprio ciclo di vita e di morte; ma quando dio abbandona il comando del mondo, allora tutto impazzisce, i vecchi ricadono nell’infanzia, i giovani spariscono nel ventre delle loro madri. In breve tutta la creazione, tutto il mondo vengono rovesciati. Ma possiamo anche interrogare i grandi scrittori. Proust, per esempio, attraverso i suoi ricordi d’infanzia evoca la guerra del ’14. Dunque, vedere crollare le Torri gemelle ha fatto pensare a tutto questo, creando così una grande emozione, forse per l’uomo europeo una delle più profonde al cospetto di un disastro più grande di lui. Questa angoscia ha rimesso in questione il rapporto che abbiamo con le idee, con gli altri esseri umani, con lo Stato, con la società e anche con Dio. Ci domandiamo, siamo di fronte a uno spettro o alla verità?

Si è detto che quello che è successo è inimmaginabile: lo hanno detto i politici, gli esperti del Pentagono che non se lo aspettavano, gli agenti della Cia che non lo avevano previsto. Ma ci sono film che hanno mostrato gli stessi eventi con largo anticipo, e anche romanzi, magari con un aereo e le Twin Towers in copertina, che hanno raccontato la storia che abbiamo vissuto. Quindi era immaginabile. E i film e i romanzi, siano essi belli o brutti, ci hanno autorizzato a sentire qualcosa di estremamente profondo davanti al massacro di New York. Sono la letteratura e i film ad avere ragione, non gli esperti che hanno giudicato imprevedibile quanto accaduto e che, dunque, non percepiscono la realtà. Se volete capire la realtà, andate al cinema e non leggete Fukuyama, né i filosofi. Se volete capire la Cnn, leggete Dostoevsky: le immagini trasmesse da quella televisione avrebbe potuto sottotitolarle lui. Insomma, non siamo di fronte a uno spettro, quella prima emozione, la sensazione che fossimo prossimi alla fine del mondo, era quella giusta e tutti i discorsi che tentano di attenuarla sono sbagliati.

Cosa è successo allora? Effettivamente non si sa niente di preciso. Sappiamo che c’è stato un atto terroristico che però non è stato firmato, né rivendicato, a cui non ha fatto seguito nessuna richiesta. Anche se lo attribuiamo a Bin Laden, evidentemente è un Bin Laden che non conoscevamo. Perché c’era già un Bin Laden noto alla Cia e denunciato dai mass media che tuttavia non avevano previsto niente di simile. Quindi si tratta di un nuovo Bin Laden, se di Bin Laden si tratta. Ecco il carattere assolutamente nuovo di questo atto terroristico: ci troviamo di fronte a un’equazione a cinque incognite. Anche le vittime sono indifferenziate: non si può dire che fossero solo ricchi, perché nelle Twin Towers c’era anche chi vendeva hot dog, c’erano donne delle pulizie, gente qualunque. C’erano bianchi, neri, autentici americani di buone origini, ispanici, cinesi e giapponesi. Altra incognita è il movente. In generale, il movente di un atto terroristico è noto, anche se implicito: può essere la consegna di un territorio, la liberazione di un prigioniero o il denaro. Qui invece non si sa niente di quello che si chiede. Quarta incognita è il mezzo che, anche in questo caso, poteva essere un mezzo qualunque. Nel 1993 le Torri gemelle sono state attaccate con un camion, adesso con quattro aerei: mai, dunque, un’assoluta specificità. La quinta incognita è la data. Il fatto più inquietante è che non c’era alcuna ragione perché succedesse l’undici settembre e non c’è nessuna ragione, e questo è ancora più inquietante, perché non si ripeta. Quando ci si trova di fronte a incognite come queste si è di fronte a qualcosa di estremamente angosciante. È l’atto che parla da solo e che dice unicamente attraverso ciò che fa. I linguisti lo definirebbero "performativo"; dire, qui, significa fare, senza discorsi né prima né dopo, basta guardare ed è allora che tutto diventa spaventoso.

Ma torniamo alla seconda incognita, alle vittime. Per rassicurarci si è detto che tra le vittime c’erano soprattutto ricchi e benestanti americani e che per una volta andava bene che capitasse ai ricchi e che gli americani sono arroganti, dittatoriali negli affari. Lo sostengono i poveri, lo si sostiene nel Terzo mondo, in America Latina, e anche in Francia perché siamo rivali dell’America, così come in Cina e Russia. Ma lo si dice per ricoprire qualcosa di molto più angosciante, ovvero che le vittime erano gente qualunque, ovvero che ciò che è successo agli americani può succedere a chiunque (e le donne afghane testimoniano che i talebani sono perfettamente capaci di torturarle). Insomma si può affermare che chiunque avrebbe potuto trovarsi lì. La seconda incognita è che la variabile è talmente variabile che è Y a essere colpito, e Y, appunto, può essere chiunque sulla terra. La terza incognita è la mancanza di rivendicazione, di programma, di richieste. Ed è la più terribile, perché non si è in grado di negoziare con l’artefice, che è come se stesse chiedendo tutto. Se volete fermarlo, non avete altra scelta che piegarvi davanti a lui, ma non vi piegherete mai abbastanza, e questo è davvero inquietante perché rappresenta l’apice del terrorismo. Fino a oggi il terrorismo era locale, qualcosa o qualcuno che si riusciva a identificare. Qui invece non si vede più niente, bisogna cedere al terrore o affrontare un terrore sconosciuto. Si tratta quindi di una richiesta assoluta di schiavitù che colpisce il centro di gravità della civiltà: il commercio (il World Trade Center), la difesa (il Pentagono) e la democrazia (la Casa Bianca), che era anch’essa uno degli obiettivi. Ciò che è accaduto punta al nostro centro di gravità, a renderci schiavi definitivamente. È l’apice del terrorismo ma anche l’apice della guerra.
Che cos’è allora la guerra? "La guerra è un atto di violenza destinato a costringere l’avversario a eseguire la nostra volontà", è un duello fra due volontà che tentano di imporsi l’una sull’altra, cercando di distruggersi totalmente, senza richieste né negoziazioni. È quello che Clausewitz chiamava "guerra assoluta", la scalata assoluta verso la violenza. Ma a questa "guerra assoluta" non facilitiamo il compito, credendo che sia facile e che si concluderà facilmente, oppure ritenendo, come accade in tre terzi del pianeta, che quello che è successo all’America, che colpisce i ricchi e gli avversari sia giusto. Clausewitz ha detto, a proposito delle battaglie di Napoleone: "Quando il possibile è diventato reale, resta reale, ciò che è stato fatto può essere fatto nuovamente". Questo non vale per la Twin Towers perché non saranno ricostruite, ma tutte le incognite implicano che l’atto può essere ripetuto, magari da altri artefici, con altri mezzi, su altre persone. Non basta dunque dire "se sono gli islamici, distruggiamoli tutti per farla finta". Per due ragioni. La prima riguarda l’idea di nichilismo che c’è di fondo: esistono molti nichilisti in Islam da molto tempo, del resto la parola "assassino" deriva da una setta islamica del tempo delle crociate che praticava già l’omicidio e il terrorismo. Che certo non si praticavano solo in Islam. Se leggete Dostoevsky, vedrete che queste tentazioni esistono. Anche Erostrato, più di trecento anni prima di Cristo, ha dato fuoco al tempio di Diana a Efeso, che pur non essendo il tempio del capitalismo rappresentava per i greci la settima meraviglia del mondo. Lo incendiò per rendersi immortale, pur sapendo perfettamente che quell’atto sarebbe stato punito con la morte. E per farlo scelse il giorno della nascita di Alessandro, perché era il suo modo per assomigliargli, per diventare come lui indimenticabile. Credo che il pilota al comando dell’aereo che si è schiantato contro le Torri gemelle abbia avuto lo stesso sentimento di Erostrato: fare corrispondere la propria morte con l’inizio della fine del mondo.

L’idea di colpire al cuore ciò che ha più potere non appartiene solo agli islamici. È un’idea nichilista. È sbagliato perciò definire questa guerra uno scontro di civiltà. È sbagliato affrontarla con quest’idea. Putin, per esempio, al primo posto nella lotta al terrorismo islamico, conduce in Cecenia una guerra di civiltà. Applicare il suo metodo sarebbe un vero e proprio suicidio. Oggi in Cecenia i russi radono al suolo interi paesi, uccidono donne e bambini, fucilano i giovani. Se accettiamo questo metodo, che un uomo o una donna vengano uccisi in quanto ceceni, si ritorcerà contro di noi perché, in questo caso, abbiamo di fronte un miliardo e più di musulmani. In Occidente lottiamo contro il terrorismo ma non radiamo al suolo le città, non abbiamo raso al suolo Belfast o i Paesi Baschi, né la Corsica, come Putin ha fatto in Cecenia e in una città come Grozny, di quattrocentomila abitanti. Questa soluzione appare quindi suicida. Ne esistono altre: come isolare il pericolo che mette l’umanità a rischio di sterminio, poiché l’attentato alle Twin towers - questa è la lezione - è una minaccia che pesa su chiunque. Per farlo occorre anche prendere misure che possono essere militari o poliziesche, ma occorre soprattutto comprendere che tutto ciò richiederà moltissimo tempo, che l’artefice è una variabile in agguato, perché molti altri potrebbero voler provare il piacere di Erostrato. Lo spirito esaltato è una malattia contagiosa. Bisogna dunque tentare di fermare questo processo, ma senza farsi illusioni.

L’Europa è avvantaggiata nella comprensione. Tucidide descrisse la guerra del Peloponneso come una malattia, non come qualcosa che dava senso alla storia, splendore al conflitto di civiltà: una malattia grave, collettiva, che inizia con una guerra fra città, in un certo senso esterna (la guerra del ’14, guerra delle nazioni) e che arriva a un secondo stadio della malattia con la guerra civile, ovvero la confusione tra guerra e rivoluzione. L’Europa è passata anche per questo secondo stadio - con Hitler, con Stalin, ma anche con la Seconda guerra mondiale - caratterizzato dalla follia collettiva che si diffonde nelle città. C’è poi un terzo stadio, quello che Tucidide descrive, appunto, con la peste di Atene, ovvero la follia esplode all’interno di sé stessa, non solo all’interno della città, dunque, ma all’interno dell’individuo. È il momento in cui non si rispetta più niente, in cui non ci sono più tabù, tutto è permesso: è il momento nichilista. Quello che resiste anche dopo la caduta del muro, che era già percepibile nei fascisti, nei guardiani dei gulag e che oggi si è maggiormente diffuso. Perché non è tutto finito con la guerra fredda, i vecchi combattenti non sono diventati degli onesti commercianti!

Ci troviamo dunque su un vulcano di nichilismo: non siamo di fronte a una guerra mossa dai poveri contro i ricchi, perché significherebbe insultare i poveri se pensassimo che hanno voluto la distruzione delle Twin Towers e il massacro dei loro abitanti. Ci sono poi dei ricchi che fanno la loro parte. Lo stesso Bin Laden non è un modello di povertà, gli stessi piloti degli aerei assassini erano benestanti e ben istruiti. L’Europa si trova così nella terza tappa della guerra, nella terza fase della malattia: la prima era la guerra esterna, quella del ‘14, e Dio sa quanto è stata crudele; la seconda è stata la guerra civile, il periodo dei totalitarismi, e oggi il mondo intero corre gli stessi rischi della peste descritta da Tucidide. Può essere una peste nel nome di Allah, o di qualsiasi altro dio, Stato, nazione o comunità. È contro questo che dobbiamo agire, senza temere di nominare ciò che succede e senza ridurre tutto a un affare tra "ricchi e poveri". Se fossimo intervenuti contro Milosevic nel 1991, ci sarebbero oggi duecentomila esseri viventi in più in Europa; se avessimo aiutato Massud a lottare contro i talebani, quel Massud che opponeva resistenza contro l’invasione sovietica e che era un moderato piuttosto democratico, adesso egli sarebbe a Kabul, e se oggi ci fosse, Bin Laden non sarebbe in Afghanistan e molto probabilmente le Twin Towers esisterebbero ancora. Quindi dobbiamo osare e intervenire per tempo, prima della catastrofe. E non dobbiamo sottovalutare il pericolo, come hanno fatto gli americani che invece di aiutare Massud, prima di tutto questo, hanno aiutato Bin Laden. La capacità di vedere il pericolo e di agire sono qualità che ci dovranno accompagnare per molte generazioni. Se si accetta di ritrovare l’emozione iniziale che ci ha assalito di fronte alle Twin Towers in fiamme, non sarà invano.


André Glucksmann è scrittore e filosofo

(traduzione dal francese di Maria Pia Franco)